- Habitat sociale - Realizzazioni
- Deistituzionalizzazione salute mentale - Conversazione con Franco Rotelli
- Dietro le mura nascono i mostri - di Franco Rotelli
All’interno della realtà dei servizi di salute mentale e delle cooperative sociali di trieste entro il comprensorio dell’ex ospedale psichiatrico provinciale opp che contiene la maggior parte delle attività abbiamo iniziato l’avventura di hill dico abbiamo perchè il mio ruolo di progettista l’ho giocato in completa libertà ed autonomia ma vivendo dentro le situazioni e la quotidianità non specialista esterno quindi ma specialista ricercatore interno che cerca di interpretare con la sua specificità le cose assumendosi anche forzature e al limite provocazioni ma in un rapporto di confronto e scambio in una situazione complessiva oltre tutto sempre stimolante novità discussione cambiamento hill dunque un laboratorio di falegnameria ed uno di progettazione di cose e luoghi laboratori reali per produrre oggetti e stipendi in un quadro sperimentale con al centro la qualità creare spazi sensati spazi connessi con i corpi le teste il cuore spazi in relazione con l’ immaginazione la storia la dignità delle persone che li utilizzanospazi per valorizzare ricchezze e potenzialità comunque presenti oggetti belli pensati per curati inventati parlanti qualità e bellezza primarie leggibili da tutti al di là di retroterra culturali esperienze vissuti anche seprodotti da manicomi criminali comprensibili e quindi interagenti in grado di comunicare attenzione benessere di produrre modificazioni desideri sensazioni trasformazioni di attivare relazioni elementi per costruire qualità di vita da lanciare prima di tutto dove questa va ricostruita nei territori deprivati ma comunque attivi ricettivi vitali da noi praticati territori con ricchezze espressive fuori scala in quanto fuori regola e convenzione e con miserie altrettanto grandi territori in cui piccoli spostamenti provocano mutazioni visibili elementi per costruire anche nel nostro specificoqualità di lavoro produrre oggetti stimolantisempre diversi con partecipazione intelligenza curiosità creare spazi insensati non senza senso ma oltre il buonsenso se questo è un limite se servono rotture spazi spiazzanti proiettanti verso altre direzioni esplosioni di senso e comunque andare oltre i dati reali e contro l’ evidenza dell’economia se condannano eliminare la miseria come stato mentale passiva accettazione alterità castrante giocando la ricchezza sempre possibile di mille invenzioni fare di territori marginali zone di elaborazione stimolanti creatività e ricerca laboratori di qualità complessiva isole sperimentali in una realtà normale spesso dominata da stereotipi clonazioni conformismi paranoici in cui le persone sono considerate monodimensionali acritici ricettori possibile terreno d’incontro quindi con settori produttivi pensanti e lungimiranti e con settori creativi disponibili ad un progetto sensato per se stessi e per gli altri partners quindi di avventure progettuali e viaggi nel mercato energie moltiplicate scambi risorse attivizzazione di potenzialità represse tessuto sociale riattivato nel suo complesso costruire a partire da questo e subito un gruppo agente su scala nazionale che si ponga comepunto di riferimentopolo di aggregazione per altre esperienzecentro di ricerca e di progettotask force per il confronto con le istituzionicentro comunicativo in grado di intervenire con maggior forza nei territori da cui siamo partiti di aggredire zone a monte produttrici di degrado di dare risposte a nuove marginalità ogni giorno emergenti ma anche di proporre a partire da queste punte estreme qualità ai territori contigui interagenti e omogenei della normalità penso a centri di salute mentale aperti attraversabili irriconoscibili a spazi stimolanti attività sparsi sul territorio germoglianti a mercati con il the alla menta caffè musicali hair shop poetici alberghi tropicali musei stradali giardini meravigliosi pieni di gente che parla fà si ritrova agisce si diverte lavora vive luoghi da progettare costruire agire possibili motori di altre azioni e movimenti situazioni reali dentro un mercato questo quanto tentato in parte fatto immaginato tracce di un’esperienza concretafatta di oggetti spazi persone storie che qui racconteremo di piccola scala e grande sogno
Hill progettazione
Spazio tra gli alberi del comprensorio ex opp grandi finestre abbassamento ad olio verdino sempre uguale dal 1904 attraverso imperi guerre fascismi democrazie hill progettazione prototipo primo posto da trasformare luogo di rappresentazione dell’ipotesi progettuale di lavorare con la qualità e la bellezza posto dell’impatto della rottura visibile rispetto i posti della dignitosa mediocrità esistenti faticosi punti d’arrivo dentro l’istituzione paralizzante a partire dai magazzin di persone del manicomio da rispettare da assumere ma da superare nuova costruzione all’interno e a partire dalla vecchia posto discusso all’inizio in quanto direttamente oltre l’accettazione della realtà cosi’ come data limite concreto ma confine anche illusorio culturale mentale posto discusso in quanto estetico e quindi vissuto in maniera colpevolizzante come superfluo o preoccupante come immagine che nasconde il vuoto accettato poi sul verificare le dinamiche concrete avviate proprio a partire dall’estetica fatto proprio e diventato anzi punto di riferimento per un fluire ininterrotto e sempre crescente di richieste di consigli consulenze interventi per cambiare i luoghi:hill base di partenza
Hill falegnameria
Vecchio laboratorio nel comprensorio ex opp diventa nuovo laboratorio per ragazzi etichettati a rischio dall’ergoterapia forzata e rinchiusa di un tempo a cooperativa integrata lavoro stipendio e lavoro intelligente citazioni da vecchio laboratorio tubi in rame scostamenti lampade che cominciano a sbrecciarsi forzature il parquet laccato rotture grande segnochimera blucielo mare orizzontedesiderio di altre situazionirottura con lo squallore dei posti di lavorodove non si deve sognare luogo che stimoli a riappropriarsi del bello a rompere la miseria totalizzante contenitore di qualità per azioni lavoro/vita di qualità falegnameria diversa perchè piu’ bella con un lavoro piu’ interessante con dei rapporti sociali migliori rispetto le falegnamerie della città diversità rovesciata luogo di identificazioni la falegnameria è dei ragazzi che ci lavorano
Quattro stagioni
Ingresso del comprensorio ex opp luogo del custode subito dopo il grande cancello e il grande muro due locali piccoli e alti con soffitti a volta devono diventare negozio di verdura biologica prodotta dalla cooperativa agricola fare un luogo di rappresentazione verso la città delle qualità possibili delle cooperative integrate creare un luogo stimolante interagente con chi ci lavora uscire dagli schemi stereotipati del negozio naturale per un corretto rapporto di scambio non di manipolazione con chi lo frequenta non il finto mercatino quindi colline e rondinelle ridenti da riempire meccanicamente di cassette ma la torre delle verdure da arredare ogni giorno con cura e dettaglio oltre chè con cavolfiori insalate melanzane casa delle fiabe in versione vegetale qualità diffusa e comprensibile a tutti a chi come elena che gestisce il negozio e minaccia di andarsene se la torre se ne va è ufficialmente emarginato e a rischio e a chi architetto decide di pubblicare il vegetable tower sulla sofisticata rivista
Ufficio cooperativa la collina
Comprensorio ex opp edificio repressivo lungo corridoio a sinistra finestre a destra celle due celle per l’ufficio cooperativa sociale la collina e allora prima di tutto sfondare le celle tunnel passante cuneo/colore poi l’ufficio l’ufficio grigio funzional ergo produttivo nessuna fantasia possibile only work tavoli barricata livello contro livello esplode si disgrega si colora diventa spazio comunicativo scenario di altre rappresentazioni per la gente di radiorap falegnameriadesign teatro reggae fotozipclipvideo
Vz / residenza
Sigla padiglione infetti nel comprensorio ex opp con fossato circostante ora abitazione per otto vecchietti che vanno a scuola di alfabetizzazione scrivono a babbo natale raccolgono figurine e coltivano il giardino meritato riposo dopo una vita di manicomio stanza armadio divisorio letti a destra tavolini a sinistra questo il progetto di ristrutturazione premiata ditta mobili e arredamenti sas grande tavolo a uovo per mangiare insieme sotto una classica frisbi/castiglioni/flos grande credenza divani e carrello tv color spazio intorno dalle finestre gli alberi e il cielo questo il nostro progetto perfettamente colto dagli abitanti e non solo problemi di sovraffollamento al vz durante il giorno
Sert
Servizio tossicodipendenze luogo di frontiera contatto scontro cura assistenza metadone intervento con le flebo intervento con il lavoro la casa la vacanza luogo frequentato percorso agitato qualche volta assaltato edificio anni ‘60 aggiunto nel comprensorio ex opp accettazione uomini ingresso a marmettini decoro verso il mondo inaugurazione ministeriale interno a celle corridoio porte celle modificato per il nuovo servizio tamponamenti cartongesso quadri e piante non dissimile comunque da mille altri posti della nostra quotidianità ospedali uffici scuole asili ma anche alberghi bar pizzerie supermercati anzi gestito meglio strappato e mantenuto nel tempo nonostante l’inerzia istituzionale spazio prima di tutto da trasformare eliminando precarietà e coercizioni messaggi di disinteresse ed emarginazione di abitudine al peggio creando quindi un luogo percorribile fruibile aperto e piacevole in cui sia possibile vedere schegge del clip degli U2 essere informati sull’ultima iniziativa parlare sedersi aspettare un luogo pensato per un luogo di attenzioni e dignità ma non soltanto hall intelligenti qui non bastano andare oltre lontano dai monolocali iacp dalla città prigione altrove e allora costruire un luogo altrove spiazzante che fa voglia di vedere altro uscire dal circolo elementi progettuali verificati anche violentemente nella realtà operatori controllori che si ribellano allo spazio liberato ragazzi che entrano e chiamano il sert discoteca progetto riuscito
Via milano / residenza
Gruppo appartamento tre quattro persone servizio tossicodipendenze appartamento
piccolo banalmente ristrutturato verniciato a normal decoro casa degradata
ai limiti dell’abitabilità in via autostradale finestre chiuse stanzine
piccole soffittini 270 porte sghembe qualche cedimento strutturale qualità
della vita tossicodipendenze emarginazioni da riconfermare ? è il massimo
che puo’ dare il comune comune/di tutti/per il benessere di tutti la salute
di tutti accettare tutto questo stare dentro i limiti imposti o tentare
di andare oltre nonostante tutto questo accettare la realtà migliorandola
per quello che è concesso buon design o esprimere il desiderio di altro
quando si vola ? e allora questa realtà non esiste anche contro cubature
dimensioni proporzioni far esplodere forme colori altri colori volumi riempire
lo spazio di presenze esprimere cambiamento aumentare il livello dei desideri
gruppo appartamento luogo di precarietà diversità da non riconfermare
e cristallizzare ma da trasformare in luogo di transito verso situazioni
diverse
Direzione servizi / centro studi
Padiglione “e” comprensorio ex opp nel frenocomio del 1904 padiglione sudici ultimo stadio no return sorprendente edificio stanze altissime doppio ordine di finestre che catturano la luce sempre fino all’ultimo e uno spirito del luogo palpabile diventa centro studi direzione dei servizi della salute mentale biblioteca uffici computers sale riunioni centro di elaborazioni contatti incontri scambi gestioni economiche archiviazioni convegni e altro ancora memorie del già fatto progetti sul da fare comunque centro punto visibile di rappresentazione di sintesi e quindi luogo in cui percepire la storia del passato la realtà ed i desideri del presente la qualità esprimibile in questo strano posto ex manicomio ora laboratorio sociale il percorso è agli inizi ristrutturazione neutrale dell’involucro scenario per molte possibili azioni trasformazione del corridoio controllo in fiume blu tra le stanze muri d’oro per l’ingresso cubi lunari archivio per ufficio quadri / trono su cui sedersi e tavoli/isola intorno a cui viaggiare
Laboratorio orafo
Vecchio magazzino da trasformare in laboratorio orafo posto dove costruire tagliare fondere esporre presentare e soprattutto vendere gioielli in centro città per un imprenditore privato fare del vendere uno scambio paritario dare e ricevere non un prelievo di denaro veloce e tayloristico giocare sull’intelligenza complessiva sulla capacità di riconoscere segni e attenzioni sull’immaginario delle persone e non sull’impatto di stereotipi generalizzati e consunti usare la qualità per vendere accettando i parametri della concorrenza e del mercato ma vendere anche la qualità facendo filtrare segni seminando schegge che vadano in una direzione di apertura di circolazione e scambio creando luoghi fruibili non fortezze di status o musei della banalità e della mistificazione finti raggelanti e paralizzanti quelli mostrati sono i luoghi realizzati pochi rispetto ad un’esigenza sempre più diffusa di qualità che è man mano venuta crescendoa seguito dei primi interventi fattidetonatori di esigenzepresenti ma inespresse tanti rispetto l’indifferenza di enti pubblici che solo dopo faticoso e continuo lavoro di convincimento riconoscono o meglio non ostacolano completamente questo tipo di interventi senza peraltro proporli impedendone in certi casi il completamento o il pieno utilizzo limitandone di fatto scala portata numero quelli esposti sono stati i dati essenziali strutturati poi in progetti da confrontare e mediare con le esigenze di funzionalità in senso stretto espresse dalle varie e diverse situazioni e con limiti economici tali da costringere all’autarchia produttiva quasi totale ed alla semplificazione progettuale piccoli segni dunque di una progettualità sensata nonostante tutto possibile lavorare con il minimo puntando comunque al massimo essenzialità voluta e anche forzata elemento identificativo alla fin fine da rivendicare in un mondo di emergenze sempre piu’ esplosive in cui spesso energie risorse teste pensanti lavorano con il massimo sul nulla
Nota sulle cooperative: cooperativa sociale ovvero una cooperativa che per statuto si prefigge l’inserimento lavorativo di persone provenienti da aree svantaggiate o meglio, nell’accezione a trieste praticata, che cerca di ripristinare normalità fatta di lavoro, socialità, cultura e normalità di qualità, ché quella solita spesso è fonte di disagio, una cooperativa insomma che si occupa di qualità di vita. le cooperative nascono a trieste nel 1978 dopo la chiusura del manicomio, per dare concretezza ad una libertà conquistata altrimenti inutile e all’inizio si occupano di pulizie, edilizia, verde. solo più tardi verranno introdotti lavori più innovativi e coinvolgenti: fotografia, video, falegnameria.la sede della maggior parte delle cooperative é all’interno dell’ex ospedale psichiatrico provinciale, situato in un grande parco e costruito dal 1904 al 1908 con grande ricchezza architettonica.questo non significa assolutamente comunità né residenzialità né struttura ospedaliera ma soltanto riuso di spazi: le cooperative sono private, lavorano nel mercato, hanno una serie limitata di agevolazioni; sono collegate ai centri di salute mentale che sono sparsi sul territorio e rappresentano la struttura dei servizi del dipartimento della salute mentale a trieste,solo come rete di supporto nel percorso delle singole persone rispetto la gestione e la convivenza con la malattia.
Deistituzionalizzazione salute mentale
Conversazione con Franco Rotelli
Gallio: Da quando per la prima volta sei entrato nei manicomi, alla fine degli anni '60, si può dire che il tuo lavoro di psichiatra sia stato un continuo lavoro di risistemazione degli spazi, di ristrutturazione degli spazi. Lo svuotamento dell'ospedale psichiatrico e la trasformazione dell'assistenza psichiatrica sarebbero impensabili senza queste azioni che potremmo definire prima di tutto di tipo architettonico, di decostruzione degli spazi. Tutto il processo di deistituzionalizzazione a Trieste potrebbe essere raccontato in questo sottrarre forza agli spazi totalitari, chiusi, insensati come quelli dei grandi reparti, a vantaggio di spazi sempre più piccoli e abitabili, che di volta in volta diventavano anche sempre più aperti e accessibili, simili agli spazi normali del vivere e dell'abitare nella città. L'esperienza si è complicata e allargata nel passaggio dal manicomio al territorio, nella creazione dei Centri di Salute Mentale. E, ancora dopo, nel reinvestimento del Comprensorio di S. Giovanni come sede di attività cooperative e sociali. Da un pò di tempo parli esplicitamente di "Habitat sociale", di un progetto che dovrebbe coinvolgere a livello nazionale diverse professioni e realtà della salute mentale e non, dei servizi pubblici e non. Quando parli di questo a che cosa fai riferimento? Esiste già un dibattito avviato su questi temi? Esistono delle pratiche, oltre all'esperienza locale triestina?
Rotelli: Al contrario, parto dal presupposto che in Italia questo dibattito sull'"habitat sociale" non esista affatto. Manca un'attenzione qualsiasi alla qualità dell'abitare che non sia riferita all'individuo come "privato". Per quanto mi aggiri, non riesco a trovare esempi in Italia di architettura in generale - e di architettura di interni in particolare - che si riferisca a un'intenzionale/intenzionante produzione di cultura attorno a questa questione. Credo anzi che l'Italia degli ultimi vent'anni sconti una vera e propria barbarie sotto questo aspetto. Non conosco un'ospedale che non sia stato costruito esclusivamente come macchina tecnologica, totalmente indifferente alla qualità della vita dei pazienti; né, tantomeno, conosco strutture collocate nel territorio, socio-assistenziali o socio-sanitarie che dir si voglia, connotate da investimenti qualitativi specifici. Di queste strutture solo gli addetti ai lavori parlano come "Centri di salute mentale", "residenze per anziani", o "per handicappati", comunità etc.., ma nessuna di esse è stata costruita secondo contenuti, criteri e significati propri di un abitare sociale. In un certo senso, solo il lavoro e l'immaginazione degli operatori può far vivere queste strutture, dotarle di un senso sociale; ma si può anche sostenere che queste strutture senza senso (senza volto, senza storia, senza qualità e ricchezza di alcun genere) sono in generale più forti della capacità e dell'immaginazione degli operatori nel conferire loro un senso. Così come non è difficile sospettare una relazione profonda fra povertà architettonica, non-senso abitativo di queste strutture e loro inadeguatezza a ospitare, a promuovere pratiche sociali, rappresentazioni collettive di un sociale decentrato. Occasionalità, indifferenza, incompetenza sono all'ordine del giorno nelle strutture pubbliche nate a partire dagli anni '70, mentre parallelamente si sono qua e là diffuse inziative individuali o di piccoli gruppi-privatisti che diciamo - che in questi anni sono andate alla ricerca di una qualità dell'abitare. Ma proprio questa tendenza ha rafforzato in diversi modi l'idea di una qualità riferita a pratiche separate, a forme di vita incentrate sulla separatezza. Mi riferisco ad es. a gruppi di giovani che sono andati ad abitare nelle colline toscane o umbre, dove hanno ristrutturato cascine e cascinali anche per vivere in piccoli gruppi o talvolta per finalità sociali, soprattutto per tossicodipendenti. Ma di questa cultura, individuale e privata, le amministrazioni pubbliche non si sono fatte minimamente carico; né mi risulta che esistano esempi in Italia di architetti e di operatori del settore che si siano occupati seriamente di questa questione dal lato del pubblico e di un sociale così inteso, tematizzato come un rapporto tra servizi e utenza.
Gallio: Rispetto al tema della ristrutturazione degli ex-Op si sono fatti alcuni convegni recentemente, cui hanno partecipato anche degli architetti. Un certo dibattito viene animato dalla Fondazione Michelucci..
Rotelli: Alcuni giovani della Fondazione Michelucci hanno fatto qualcosa; tuttavia esiste anche qui una certa dissociazione tra ciò che si fà e ciò di cui si parla . Anche nel senso che uno non può fare niente se qualcun altro non gli chiede, non gli commissiona o non gli concede di fare . In ogni caso non ci sono esperienze significative , non esistono esempi di cose fatte.. Che io sappia, esistono alcuni architetti che hanno cercato di ridisegnare i grandi comprensori degli ex-ospedali e di conferire un qualche senso al progetto di ristrutturazione. Ma il problema che io pongo non è un problema urbanistico. E' un problema essenzialmente architettonico e di architettura di interni in particolare. Certo, sono evidentemente d'accordo se qualcuno ridisegna grandi quartieri, interi insediamenti urbani con finalità che, almeno nelle dichiarazioni, hanno a che fare con un diverso vivere nella città. Ma ciò di cui parlo è la necessità di disegnare o ridisegnare spazi sociali, di piccole o medie dimensioni, deputati a una cultura nuova. Credo che sia abbastanza difficile. Normalmente un architetto non ama lavorare su spazi specificamente destinati a qualche cosa. Anche perchè un buon architetto si immagina sempre che ciò che fà possa servire a mille usi diversi..
Gallio: Come dice qualcuno, il senso dell'architettura è di essere un "luogo vuoto nel quale transitano generazioni". Insomma prima deportano, bombardano e poi ricostruiscono. Il problema che tu poni è , mi sembra, un reintervenire sull'edificato, sull'abitato...
Rotelli: Il problema principale che io sollevo è la promozione di una "cultura degli interni", riferita al fatto che un numero sempre crescente di persone, con bisogni o problematiche particolari ma non eccezionali, convive in certi luoghi. Questa cultura deve essere mirata all'individuazione dei soggetti e degli spazi, ma non può essere meccanicamente mutuata dal modello del privato. Invece per l'architettura l'interno é solo privato, è una tautologia. Ciò corrisponde sempre meno alla realtà, se è vero che il governo ha stanziato adesso 2500 miliardi destinati a residenze sanitarie-assistenziali e se, già da anni, tutti i comuni d'Italia hanno aperto Centri di Salute Mentale, Centri per handicappati, case-alloggio per anziani o per malati di mente dimessi etc.. Esistono migliaia di iniziative come queste e nessuno se ne occupa. A volte questi luoghi potranno avere una certa qualità perchè, per puro caso, il comune, l'Usl o 1a regione incappano in qualche architetto pensante. Ma è del tutto casuale, se e quando ciò accade, e al di fuori di ogni generale dibattito più consapevole o più tematizzato. Di norma accade l'opposto, si affermano le scelte più dequalificanti o decisamente volgari: è l'Ufficio Tecnico di una Usl che studia come ristrutturare una casa per farne degli appartamenti assistiti per anziani, e ognuno li arreda comprando i letti ospedalieri. Così come nelle case di riposo, così ovunque. L'assenza totale di una cultura determina l'inerzia che trasferisce in questi luoghi arredi, logiche abitative, mentalità organizzative proprie delle istituzioni totali. Estetiche della miseria, della povertà assistita che si riproducono per pura inerzia, anche quando i soldi ci sono e vengono appunto spesi senza alcun criterio . La cultura e l'estetica che si rinnova in questi luoghi della riforma é sempre quella dei ghetti istituzionali. Basta andare ad es. ad Imola, dove l'Usl sta ristrutturando una casa per farne una comunità per i malati di mente dimessi dall'OP ed è già stato previsto un arredamento di tipo ospedaliero. Basta andare a vedere il nuovo Centro di Salute Mentale di Livorno: gli ingegneri che l'hanno progettato non avevano alba di quello di cui si stavano occupando. E così via. Non c'è alcuna professionalità che sia investita di questi progetti, che pure riguardano una spesa di miliardi e la qualità della vita di centinaia e migliaia di persone. Per cui, quando parliamo di formare un Consorzio Nazionale sull'Habitat Sociale parliamo di una ricerca/intervento da farsi attraverso professionalità differenti su questi luoghi: architetti, disegners che facciano mente a una nuova cultura dell'abitare, che non rimandi a segnali stereotipati, a culture anacronistiche, a logiche istituzionali residuali . Che rifletta invece, e si faccia carico dei modi dell'abitare, dell'arredo e della distribuzione degli spazi, dei colori, in stretta connessione con la gente che lì andrà a stare o a lavorare per un tempo spesso molto lungo. O con la gente che questi luoghi frequenterà abitualmente, perchè dalla frequentazione di questi luoghi dovrà già ricevere dei messaggi, vivere un impatto culturale. Entrare in un Centro di salute mentale non dovrà essere la stessa cosa che entrare in un ambulatorio di oculistica o in un ufficio dell 'anagrafe. Ogni spazio deve avere una sua specifica qualità, ricercata per la funzione che ha, per gli utenti che arrivano. Deve esserci la cultura - sociale e locale - di quello spazio, di quel luogo: l'immagine del luogo deve render conto della sua specificità e deve giocare una rappresentazione verso l'esterno. In una parola deve "significare".
Gallio: Ti risulta che esistano esperienze europee su questi temi? La Cee ad es. ha un ministero dell'habitat? O l'esperienza francese del decentramento, che aveva previsto la costituzione di équipes di quartiere addette alla questione dell'habitat, ha dato dei risultati, ha prodotto dei modelli d'intervento?
Rotelli: Che io sappia si tratta di chiacchere a vuoto. Non so neanche se sono stati definiti degli standards. Il problema di cui si è occupata la Cee finora è quello dei senza - casa, ma non mi pare che si sia mai occupato nessuno della qualità dell'abitare della gente. Anche perchè del mondo degli assistiti, del mondo dei protetti e tutelati dall'intervento pubblico si è sempre ragionato in termini se mai di quantità, di residualità. In generale la qualità è un problema di là da venire nell'intervento pubblico. E' una prospettiva in cui oggi si pone l'impresa, l'industria: figurarsi se se lo pone lo stato. Può darsi che alcuni paesi nordeuropei, più ricchi dal punto di vista delle politiche sociali, questo problema se lo siano posto con più pregnanza, ma nei paesi dell'Europa del sud o del centro Europa mi sembra di poterlo senz'altro escludere.
Gallio: L'esperienza fatta in questi anni sulla Collina, dalla cooperativa "Hill", sembra particolarmente importante nel prefigurare e nello sperimentare forme di intervento sui luoghi che hanno peraltro una notevole affinità coi criteri e coi percorsi della deistituzionalizzazione.
Rotelli: L'esperienza del gruppo della Collina non può essere per ora che un'esperienza di segni lasciati qua e là. Segnali elaborati con molta perizia e precisione, immessi in realtà disomogenee, linee di frattura rispetto alla normale disattenzione per queste questioni e rispetto alla normale inerzia degli operatori, degli amministratori. O anche rispetto all'indifferenza dell'utenza in generale. Segnali che certamente hanno tracciato nuove esigenze, hanno coinvolto in maniera significativa. Da un lato è avvilente ripetere che anche le forze progressiste, di sinistra, non si sono mai occupate di queste questioni. Non si sono mai occupate del lato estetico della vita, senza capire che il lato estetico della vita è il lato etico della vita. Non avendo capito questo, non si sono mai impegnati su temi e problemi della qualità dei servizi, dell'estetica dei servizi. La deistituzionalizzazione invece è eminentemente questo: nel momento in cui si riconsidera complessivamente il rapporto tra un individuo e l'istituzione, fra l'individuo e il sociale, fra l'individuo e la politica, fra l'individuo e i luoghi dei servizi pubblici; nel momento in cui si ritematizza la centralità degli individui nelle istituzioni (un individuo associato, relazionato, "non privato" e non deprivato) certamente questa questione prosegue sulle tracce della deistituzionalizzazione, ne fa intimamente e processualmente parte. Si tratta della decostruzione degli spazi inerti, ripetitivi, squallidi, squalificati e squalificanti, invalidanti e ghettizzanti delle istituzioni pubbliche. Si tratta di smontare gli spazi di solito luridi dei servizi, con un segnale opposto a tutto questo. Per lo spazio della psichiatria, e nel passaggio alla salute mentale, questo assume un particolare valore che dovrebbe essere preso con un'enorme attenzione. Diatkine dice di riconoscere ad occhi chiusi uno spazio psichiatrico soltanto dall'odore misto di fumo e piscio. "On peut dire qu'on est chez-nous " quando si sente quest'odore, dice. Lui, uno psichiatra di ottant'anni con una grande esperienza, ne parla come di un segno universale. Dall' estrema dequalificazione che é tipica degli spazi della psichiatria al discorso della qualità dei luoghi della psichiatria il passaggio diventa tanto più rilevante perchè non si tratta più per noi di istituzioni chiuse, separate, ma di servizi aperti, non separati, diffusi nella città: luoghi dell'abitare della gente nella città in cui agire una ricostruzione nel segno della qualità.. Certamente gli interventi di Hill, dovunque siano stati fatti, hanno coagulato, lasciato un segno che continua a produrre.. Non è un segno passeggero: è una contraddizione immessa dentro un campo. Adesso stiamo facendo proliferare questi luoghi e questi momenti, queste situazioni in cui i segni entrano come una provocazione.. Stiamo lavorando per creare le condizioni per andare al di là della produzione di segnali, per vedere di costruire la possiibilità di allestire veramente spazi complessivi con questa valenza...
Gallio : Per creare queste condizioni bisogna lavorare a lungo, creare équipes multiprofessionali etc.. Che cosa bisogna fare?
Rotelli: Lo sbocco di questo credo che sia la creazione di un'agenzia nazionale che colleghi gente che lavora in tutt'Italia. Anche perchè il mercato è diffuso ed esteso in tutt'Italia, e non si può lavorare su un mercato ridotto. Bisogna collegare professionalità diverse che vanno da ingegneri, ad architetti, designers, arredatori, persone che si occupino della scelta di materiali e sappiano utilizzare materia1i innovativi nella costruzione e negli interni. Bisogna soprattutto rapidamente darsi degli obiettivi, un immagine per proporsi in tutta Italia. Cosa non difficile da fare in termini di informazione . Ovviamente mano a mano che esperienze pratiche vengono sottoposte alla nostra attenzione si tratterà di allargare concretamente questo giro di persone implicate. Nel senso che ogni opera implicherà la ricerca di nuovi collaboratori e di professionalità specifiche. Ci hanno offerto ad es. di ristrutturare un grosso centro a S. Vito al Tagliamento: una vecchia casa medievale, variamente rifatta nel tempo. C'è un problema di restauro, di edificazione con materiali originali, di impiego di professionalità legate all'ambiente locale che sappiano come recuperare materiali utilizzati all'epoca ... C'é campo per una gamma molto vasta di professionalità che devono essere consorziate e collegate di fronte al progetto specifico e di volta in volta. Infatti non di stratta di costruire modellini di intervento, produzione in serie, ma di fare esattamente il contrario: identificare caratteristiche specifiche di un luogo, di uno spazio, di una funzione e su quello progettare e lavorare...
Gallio: gli interventi, progetti diventano necessariamente delle pratiche locali. E diventano anche dei processi, nel senso che si tratta di coinvolgere gli attori, gli utilizzatori del luogo e degli spazi...
Rotelli: Certamente. Siamo su una linea d'intervento opposta a quella dell'inerzia, della ripetitività, della proposizione di modelli stereotipi. Si tratta di ricostruire e intervenire in situazioni ad alto grado di specificità, che derivano il loro segno, il senso, i materiali etc. dall ' ambito specifico in cui vai a intervenire. C'è un problema di sottrarre e aggiungere, di inventare senza dare nulla per scontato, e di utilizzare tutte le tecniche possibili .. C'è anche il problema in qualche modo di stupire l'interlocutore, perchè il luogo assume significato se è un luogo che stupisce, che cambia e muta dentro un mutare della relazione fra la struttura e chi ne fruirà. Se si vuole che l'utenza muti bisogna che il luogo sia mutante.. Credo che sia un'aspetto essenziale dell'impressa sociale. Quando parliamo dell'Impresa Sociale parliamo di questioni che implicano questa ricerca della qualità, ma non una qualità nell'isolamento come oggi la si persegue mediamente. Oggi tutte le questioni ecologiche vengono affrontate in termini privati. Nella separatezza ciascuno cerca il posto dove ricostruire la propria ecologia privata. Il culto del corpo, la riproduzione del corpo e la ritualità di queste pratiche sono coltivati in ambiti e dimensioni privatizzate. Si tratta viceversa di permettere che sia possibile tutto ciò in ambiti sociali e di relazioni fra le persone. Se una maggiore attenzione all'ecologia deve, ancora una volta, come sta di fatto accadendo, ridurre le relazioni fra le persone, questo dovrebbe molto preoccupare. Dobbiamo creare piccoli ecosistemi che permettano alla gente di relazionarsi di più, non di meno. Attualmente si sconta nella pratica una certa logica igenistica che non ha a che fare con l'ecologia. Sembra che ridurre i contatti con 1a v!ita degli altri sia la pratica ecologica più diffusa.. Noi pensiamo il contrario, che non si dà ecologia se non nella relazione con gli altri.- Questa questione dell'habitat sociale , dell'imprendere socialmente modificando lo spazio in cui sei, é la questione del modificare le relazioni che hai ..
Gallio: In questo senso esistono relazioni molto forti tra l'ambito generale e specifico della salute mentale e la questione dell'habitat sociale ...
Rotelli: Per quanto riguarda l'ambito della salute mentale dopo il manicomio, c'è tutta una mediazione sociale ancora da fare che passa attraverso la qualità: la qualità dei messaggi che dai, l'interesse dei messaggi che crei, la belle.zza dei luoghi che abiti, l'evidenza dello sforzo di qualificazione della vita dei matti. Credo che la gente sia estremamente sensibile a queste cose e che su questo terreno esista - ancora da potenziare, da sfruttare, da inventare - una grande mediazione culturale con la gente. Evidentemente la qualità che tu attribuisci alla parola del matto, la riqualificazione del suo modo di essere, la riabilitazione del paziente intesa come ricostruzione piena dei suoi diritti di stare nella città, passa attraverso questa qualità anche estetica delle cose . Quando una persona entrava nel Centro di Via Gambini appena restaurato respirava l'atmosfera di un luogo bello, che dava un segnale molto esplicito di ricerca della qualità, della qualificazione dei rapporti, e in cui accadevano delle cose presumibilmente belle già nello spazio fisico, nel luogo, per come lo spazio era pensato, distribuito e curato nei particolari.. Se gli operatori di V.Gambini lasceranno perdere questa dimensione perderanno molto. Quando la si sottovaluta si rischia di compromettere un patrimonio di rela.zioni con la gente. Il rapporto tra utenza e servizi, tra servizi e città, utenza allargata, subirà una regressione formidabile. Dico questo perchè si tratta anche, lo sappiamo, di luoghi molto deperibili, che esigono un'attenzione costante, una cura sistematica perchè sono frequentati da centinaia di per-sone. Luoghi che si consumano rapidamente e in cui l'usura dequalifica la relazione. Ovviamente noi parliamo di spazi vivi, perchè la qualità in ogni caso non la riferiamo a spazi morti, vuoti o inerti, guscio di funzioni ripetitive. Infatti ogni volta che si parla di qualità la si riferisce a spazi immobili. La bellezza di certi edifici viene ricondotta alla loro monumentalità, alla loro staticità. Un'ospedale è bello perchè ha un bel parco: il bello sta nell'immobilità, nel fatto che questo bello non sarà intaccato da niente perchè niente accade. La nostra ricerca riguarda invece il contrario di ciò, come si possa disporre di spazi vivi, come sia possibile frequentare degli spazi che dovrebbero servire per moltiplicare i rapporti non per diradarli. Per allargare e contaminare le relazioni, non per asettizzarle e neutralizzarle...
Dietro le mura nascono i mostri
di Franco Rotelli
Il prof. Diatkine, psichiatra di fama mondiale, veterano per età e esperienza, dirige a Parigi una delle istituzioni più avanzate della psichiatria europea (nel XIII arrondissement), mi dice: Se, come psichiatra, entri in un luogo e senti un puzzo misto di fumo ed orina, a occhi chiusi, tu puoi dire 'on est chez nous'. Noi psichiatri possiamo dire, "siamo a casa nostra". E qui si potrebbe già chiudere il discorso su psichiatria e architettura. Francois Tosquelles, che ha fortemente contribuito al progresso della psichiatria, partendo da Saint-Alban, nella Lozère (Pirenei), negli anni del dopoguerra, ancora recentemente scrive della possibilità dentro un ospedale psichiatrico, dentro una istituzione psichiatrica di allestire quella che lui chiama una scuola di libertà, luogo di emancipazione. L'illusione degli psichiatri del dopoguerra che fosse possibile l'utopia di un luogo, di un ospedale psichiatrico come luogo di emancipazione, sta a segnare una parte importante della cultura progressista psichiatrica europea. D'altra parte l'illusione che l'uomo nuovo possa nascere dietro le mura è l'illusione che ha attraversato per tutti questi decenni tutte le esperienze del socialismo reale; che un uomo nuovo possa nascere solo dietro le mura proteggendosi, in una microsocietà o macrosocietà, dal resto del mondo, è l'illusione che da Cuba ad altrove ha attraversato molte delle utopie della borghe sia giacobina quando ha cercato di immaginare un cambiamento radicale del mondo. Oggi siamo tutti più poveri, però una cosa ormai sappiamo: l'uomo nuovo non nasce mai dietro le mura, dietro le mura nascono solo mostri. La legge 180 italiana ha, per la prima volta nella storia dell'umanità, stabilito che non debbono più esiste re luoghi separati, concentrazionari per i folli. Con questa ha segnato, per la prima volta, la re-immissione nella generale cittadinanza di persone storicamente destinate all'esclusione e/o alla reclusione, alla separazione e/o al concentramento, alla clinica -nella migliore delle ipotesi- all'alienismo sempre. La cultura psichiatrica, nelle istituzioni ora modificate -da leggi, regolamenti, riforme che hanno traversato, comunque, l'Europa -permane molto di più, che non le istituzioni concrete, legata ad una concezione che fa dell'alienismo la sua fonte continua di produzione di idee, di produzione di concetti, di produzione di pratiche. L'economia desiderante deve stare dentro un luogo, la debolezza del folle deve stare protetta, devono esistere i luoghi in cui si possa allucinare la libertà, e questi luoghi devono essere ovviamente separati, devono essere altri, altrove rispetto ai luoghi della normalità, perché in fondo è "altra" e "altrove" la persona del folle, il folle sta sempre "altrove", alieno. Questa cultura, è una cultura che la legge 180 ha negato, è cultura che non possiamo più accettare né nelle istituzioni che materialmente la racchiudono e fisicamente la incarnano, né nei concreti moti del pensiero, nei modi dell'operare, nelle procedure del sapere-potere dello psichiatra. Con la legge 180, il matto deve stare finalmente dentro al commercio umano, deve stare dentro luoghi del commercio umano, dello scambio, deve stare dentro i luoghi della relazione, deve stare dentro la normale ricchezza o volgarità, violenza o armonia, cultura o incultura o barbarie della città, degli spazi, dei fisici contenitori, a tutti dati, a ciascuno assegnati. E' possibile immaginare che questo appartenga al processuale; che questo processo di negoziazione dei diritti, di costruzione materiale dei diritti formalmente dati ma contrariamente ancora da realizzare, usi spazi e luoghi in cui il territo rio -la comunità- possano e debbano essere vivificati, debbano essere per un momento, più o meno lungo -non lo sappiamo- alimentati, arricchiti da energie altre, da poteri, da saperi che sostengano questo processo costruttivo di diritto. Diritto per persone affioranti solo ora ad esso. Sarà allora possibile immaginare nella nostra città, ambiti, spazi, centri, trincee, luoghi, in cui il diritto venga sostenuto, venga difeso, venga avvalorato, dove il calore della relazione, la consapevolezza della difesa, dell'essere lì a difesa di diritti altrimenti facilmente negabili, costruisca il ritmo della cura, il senso della terapia, il tempo della riabilitazione del paziente, che è sempre, se vera, comunque processo di riabilitazione della psichiatria dei suoi siti e dei suoi riti. E 'quindi possibile immaginare che architetti, designers, professionisti, possano e debbano essere chiamati a dare anche un senso fisico, costruire il segno fisico, di questo processo. Ma questo segno non può, non deve che essere il segno di una connessione finalmente ristabilita, il segno di un mercato, il luogo dove lo scam bio diventi il cuore, il centro, lo scopo, mai la separazione, la negazione, mai la -sia pure decorosa, abbellita- esclusione e scissione, secessione. Immaginabile che architetti e designers abbiano il loro da fare a riconvertire in modi che fisicamente segnino questo mercato, i vecchi reclusori, i vecchi istituti, e, a volte, spesso, a strutturare nuovi alloggi, panchine di neve, che si sciolgano il più presto possibile-speriamo -in cui questo commercio venga stabilito, venga formalizzato, messo dentro uno spazio fisico delineato, ma che dovrebbe avere, nella sua fisicità di spazio, proprio queste caratteristiche, questa possibilità, questa funzione. Funzione estetica, anche, perché nel lungo processo di negoziazione, della rivalorizzazione del matto dentro la città, la funzione estetica, la funzione del decoro, la funzione della competenza e la funzione del bello, non può non accompagnare la funzione etica che sostanzia inevitabilmente questo processo o lo nega, e dica la trasformazione. Nella città delle immagini, nella città del segno, la ricostruzione di un decoro, dentro lo scambio, è una funzione, è un obbligo, è un auspicio, è una necessità ed è un compito di chi è chiamato a disegnare questi spazi, a costruirli, a definirli. Mai più dentro la alienità, ma dentro la ricomposizione possibile e tendenziale dentro il corpo sociale, dentro il riconoscimento di identità differenti, ma nella comunanza di differenze e non più nella identificazione di diversità da "altrove" collocare. Trieste, comprensorio di San Giovanni, ex-ospedale psichiatrico, già ora luogo multiplo, da molti anni ormai spalancato sulla città, attraversato dalle automobili di chiunque, a qualunque ora, oggi già "modello" di forme e funzioni multiple, per i giovani, scuole, università, istituti, scenografie del teatro della città, luogo di cooperazione, altri servizi sanitari, piccole comunità residue di anziani che lì nel parco, ma dentro una libertà fisica riconquistata, trovano ciò che la città ormai non potrebbe più offrire loro di meglio, dal momento che la città è finalmente entrata dentro queste mura, dal momento che le mura sono crollate, dal momento che molte figure, molti attori sociali diversi, popolano quel comprensorio. Centri (di salute mentale) nella città, centri nei quartieri, aperti al quartiere, porte sempre aperte, spalancate sul quartiere, attra versabili da chiunque, centri sociali e centri sanitari congiuntamente, mai medicali, mai ambulatoriali, mai asettici, popolati, popolati di figure sociali diverse, di attori sociali diversi e spesso difficilmente riconoscibili, difficilmente identificabili all'occhio di un visitatore estemporaneo. Appartamenti per gruppi di persone espulse dalla famiglia, o mai aventi famiglia o con le famiglie distruttive, o con solitudini eccessive, con tentativi di piccola composizione, di piccolo gruppo in una convivenza minimamente solidale, aiutata, dentro i condomini -però- dentro i quartieri normali, dentro la città normale. Eccesso di normalità, eccesso di normalizzazione? Non di questo siamo spaventati ma semmai dalla bassa qualità della normalità, e la nostra civiltà anzi tutto ci dice che diversamente dobbiamo comportarci, nulla ci vieta di utilizzare poteri, saperi, risorse, mezzi, legittimità della psichiatria per finalmente tentare qualcosa che assomiglia a un processo di costruzione di salute mentale, cioè a un processo di qualificazione di spazi, di luoghi della normalità in quanto spazi del normale attivarsi delle persone e tuttavia, appunto, da qualificarsi. Possono sempre essere giusti spazi, qualificabili solo in crescita culturale, in crescita estetica, in modi e forme concrete dell'abitare, socialità dell'habitat, forme dell'habitat. Che, finalmente, gli psichiatri possono collaborare a migliorare la città, invece che a ripulire la città dai suoi rifiuti. Sembra un'utopia molto più sensata, più semplice, vera e auspicabile delle vecchie utopie del passato. L'architettura della psichia tria era ed è ancora architettura attorno alla pericolosità. Altrove fu ed è architettura della clinica, ospedale o ambulatorio, asetticità verde e luce. Quisisana. E anche ospedale generale allo scopo blindato, vetri blindati, videocitofoni in gara di follia-protezione con l'ipernormalità blindata della privacy ben agiata. Ma c'è un'architettura del ritorno alla vita? Stiamo costruendo un piccolo albergo su una spiaggia dei Caraibi. Non per i matti ma anche per essi. Intanto a Parma nasce il Castello dei diritti, cascinale recuperato per matti, tossici, extracomunitari e giovani che vogliono un futuro non diviso. Che ogni quartiere recuperi un luogo che sia quadrivio, crocevia, spazio segnale, ambito di relazioni, di parola, di fatti. E che qualcuno distrugga il nuovo manicomio criminale di Berlino che architetti di sinistra hanno costruito: stupida serra per vegetali extraterresti al centro di una capitale d 'Europa.